Una produzione viaggia veloce e miete premi: dopo il successo del Jefferson, ora è la volta di Rupes Gold. Tutto all'insegna della territorialità
"Come tutti sanno, il sapore della gloria è l'amaro". Probabilmente quando ha scritto queste parole il drammaturgo e poeta giapponese Yukio Mishima non aveva in mente qualcosa che realmente potesse finire in un bicchiere, ma le sue parole rasentano la profezia. In particolar modo per quanto sta accadendo in terra di Calabria, sempre di più esportatrice di elisir capaci di conquistare il mondo intero. Erbe officinali, agrumi unici, ricette a volte "fantastiche" ma mai banali sono la base di un successo senza quartiere, che non ha nulla a che vedere con la moda e tutto, invece, con la sincerità. Del lavoro e dei prodotti finali, anche quando non escono dal ventre di piccole aziende.
Il segreto nella capacità di raccontare un territorio unico, parte integrante del Sud Italia e della Magna Grecia, eppure ancora sconosciuto alle masse fino a pochi anni fa, se non per una trafila di cliché. Attraverso dei semplici sorsi, questi piccoli artigiani (le micro distillerie che producono in proprio o presso terzi si sono moltiplicate negli ultimi anni) e gli imprenditori del bere che li affiancano sulla scena commerciale, sono capaci di esportare fuori regione prima e fuori Italia poi il vero carattere di una terra ricca, dura e dolce insieme. E nel novero della grande produzione di spiriti, tra distillati e liquori, nessun prodotto è capace di abbracciare tutte le eccellenze della terra calabrese più dell'amaro: da un lato la dicotomia dei sapori tipica di questo prodotto, dall'altro l'intimo legame con le stesse erbe e le stesse piante che crescono rigogliose tra Reggio Calabria e la Riserva del Fiume Lao, passando da un lato all'altro della parte di Stivale che unisce Tirreno e Jonio.
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